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Pietro Orlando 2 ottobre 1920
Per noi casapullesi o napoletani�..il �mannese� o �lo scassacarrette� in italiano il �carradore� mestiere antichissimo.
La ruota comparve in Mesopotamia fra il 3500 e il 3000 a.C.; con essa il carro e chi lo costruiva.
Questo spazio, certo non � approfondito per descrivere un mestiere il cui apprendimento richiedeva almeno venti anni, vuole essere stimolo per avvicinarsi ad uno dei lavori che ha caratterizzato l�artigianato del nostro paese nel recente passato ed oggi scomparso totalmente.
Conoscere l'arte del falegname; intendersi di metallurgia, di saldatura; conoscere i legnami, saper valutare la stagionatura. In assenza di utensili e macchine elettriche, tutti i lavori si facevano a mano, compresa la tornitura dei grandi mozzi. Le grandi ruote venivano realizzate senza chiodi e senza colla, era il cerchione di ferro che reggeva il tutto.
Pietro Orlando del 2 ottobre 1920
L�ultimo �mannese� di Casapulla.
Ci siamo incontrati oggi nella Villa Comunale mentre era in sella alla sua inseparabile bici, e qui racconta:
�Avevo gli zoccoli ai piedi e frequentavo le elementari quando andavo ��o Mast� ad imparare il mestiere da mast� Elpidio dove ho appreso l�arte del �Mannese�.�
Il suo maestro � stato mastro Elpidio Lieto che � stato anche maestro di musica nel tempo libero; suonava il clarinetto e dirigeva la banda musicale di Caturano.
L� � rimasto fino sotto i trent�anni per poi rilevare, insieme al socio Santillo Domenico, una �poteca di mannese� a Marina di Minturno da un artigiano locale andato in pensione.
Ed � qui che, su commissione di un americano fotografo che abitava a Minturno, costru� una ruota di carretto (�traino�) alta tre metri che serv� al fotografo come attrattiva per fotografare i bagnanti sulla spiaggia di Minturno.
�Un lavoro duro pesante e doloroso �accira-cristiani� ma d�altronde allora un po� tutto lo era�.
E s� un lavoro duro dove andavano coniugati due mestieri l�arte del forgiare il ferro e di modellare il legno con le proprie mani con l�ausilio di pochi utensili come l�ascia per il legno e la forgia incudine mazza e martello per il ferro.
http://www.raffaelelascala.net
�Noi con il �tre e quattordici calcolavamo le circonferenze e le �gaveglie�; se la ruota era a 12 raggi facevamo 6 �gaveglie� se a 10 ne facevamo 5 insomma ogni �gaveglia� ospitava due �raje� (raggi)�.
In pratica la �gaveglia� � quell�arco in legno che insieme agli altri costituiva la circonferenza esterna dove a due a due alloggiavano i raggi esternamente mentre verso il centro erano contenuti nel �miulo� (mozzo).
A sua volta il �miulo� (mozzo) al centro veniva calibrata ed inserita la �summola� (boccola) che copiava la conicit� dell�asse in ferro su cui ruotava in modo da non far toccare il legno del mozzo con l�asse e tutto veniva ingrassato con grasso animale. Per non far fuoriuscire il mozzo dall�asse c�era l� �azzicula� una sorta di zeppa che conficcata all�estremit� dell�asse impediva al �miulo� e quindi alla ruota di fuoriuscire.
� Una volta reso incandescente il ferro dell�asse per dare la conicit� voluta �o mast� assecondava il lavoro cadenzando colpi di martello con una mano mentre l�altra impugnava e ruotava all�occorrenza il pezzo da forgiare mentre � �u guglione � (l�apprendista) a due mani menava colpi con la mazza su indicazione del �masto�.�
�Bisognava poi essere anche �maestri d�ascia� perch� il legno veniva essenzialmente sagomato con l�ascia secondo il disegno voluto�
�C�era poi da dare l�amaninezza� alla ruota in modo da conferirgli maggiore robustezza�.
In pratica ai raggi delle ruote veniva data una piccola inclinazione verso l�esterno in modo che l� asse dei raggi non cadeva perfettamente perpendicolare all�asse di rotazione ma ne era leggermente spostato verso l�esterno del �traino� (uno o due centimetri se misurato all�esterno della circonferenza del cerchio).
Tutta il pezzo d�opera della ruota veniva poi �costretto� a stare insieme da un cerchione in ferro.
La circonferenza di quest� ultimo veniva calcolata leggermente inferiore a quella della ruota; una volta sagomato su di essa le estremit� venivano saldate per chiudere il cerchio con l�ausilio della forgia mazza incudine e martello (le saldatrici non esistevano).
Creato e chiuso il cerchione andava inserito sopra la ruota; allora veniva riscaldato a puntino su di un fuoco messo ad ardere all�estremit� del cerchio. Il ferro, si sa, si dilata con il calore ed arrivato alla giusta temperatura, che l�occhio del maestro sapeva, veniva portato sull�estremit� della ruota di legno e, una volta inserito, rapidamente raffreddato per non far bruciare con il calore del cerchio le �gaveglie� pena il rovinarsi del lavoro; se questa bruciava in qualche punto la ruota perdeva la sua rotondit� ed in quel punto avrebbe �zoppicato� di sicuro.
Il cerchione raffreddato e costruito di circonferenza pi� corta della ruota con la propria pressione assicurava quindi la tenuta dei raggi tra il mozzo e gli archi esterni.
Questa operazione andava a ripetersi nell�estate successiva, s� perch� il ferro del cerchio a furia di ruotare sul terreno, dove scaricava tutto il peso del carretto, si stendeva e, complice anche il caldo, perdendo la sua tensione interna si allargava e la ruota rischiava di smontarsi.
C�era quindi bisogno di una revisione; allora venivano puliti tutti i componenti della ruota dal grasso che era col tempo colato dal mozzo sui raggi e sugli archi con la calce e dopo aver ridotto la circonferenza al cerchio, tagliandone un pezzo e risaldandolo, si rimontata.
I legni che si usavano erano la quercia, pi� lavorabile e di qualit� superiore , per le �gaveglie� (archi) e � �o cirro� (il cerro), meno pregiato, per i raggi .
Zi �Petruccio� continu� questa attivit� ancora per un lustro ma con l�avvento delle meccaniche agricole il lavoro inizi� a scarseggiare allora fu costretto a cambiare mestiere, che non fu certo una cosa difficile per lui, e divent� ferraiolo carpentiere per poi cambiare di nuovo quando ha lavorato nella fornace dei fratelli Melone come meccanico.
Accantonato questo argomento gli ho chiesto un po� della sua vita da giovane.
Molto sorpreso sono stato quando mi ha raccontato che ha partecipato alla guerra di El-Alamein nel 42 dove fu anche ferito.
�Facevo il servizio di leva a Napoli ma il mio reggimento (20� reggimento di artiglieria di corpo d�armata) era dislocato a Tripoli in Libia.�
�Fui quindi spostato in Africa. Partii dall� aeroporto siciliano di Castelvetrano (Trapani) con un aereo a tre motori e dopo tre ore di volo atterrammo all�aeroporto tripolese di Castel Benito.
E fu cos� che fui coinvolto nella battaglia di El-Alamein.�(seconda guerra mondiale)
http://cronologia.leonardo.it/battaglie/batta20.htm
� Ero puntatore di cannone e sparavo con il 105-28 �.
S� il suo compito era quello di dare direttive per l�alzata e per la direzione del cannone agli addetti e raggiunto il puntamento dava il comando per lo sparo.
Fu proprio durante questa operazione in battaglia, mentre ripiegavano all�avanzata degli inglesi, che nelle fasi concitate della battaglia stessa mentre stava impartendo le istruzione per puntare che inavvertitamente l�addetto, stordito dalla confusione e atterrito dalla paura, innesc� lo sparo mentre lui era ancora sopra il cannone per controllare gli strumenti di direzione e di alzata. Fu scaraventato a terra e si ritrov� con la gamba destra sotto una ruota del cannone di 28 quintali di peso.
�c�era tanta confusione e paura � non si capiva niente� quasi a giustificare l�errore del commilitone.
La gamba si gonfi� ed anner�.
Fu cos� trasportato da un suo superiore e lasciato lungo la strada che portava a Tobruk; qui fu raccolto ed imbarcato a Bengasi sulla nave ospedale Aquileia.
Sbarc� a Bari e col treno fu portato in ospedale a Firenze.
Il treno pass� per Caserta e qui,sigillato nei vagoni, dal finestrino riusc�, tramite un tizio che conosceva un suo parente che faceva servizio di posta proprio alla stazione, a dare sue notizie ai familiari.
Qualche tempo dopo il fratello and� a trovarlo in ospedale a Firenze.
Mentre racconta si ferma un attimo� lo sguardo si perde nel vuoto � gli occhi luccicano
�ho visto in guerra morire �. un mio amico�era proprio l� �. vicino a me�.
E dopo qualche istante di silenzio�
�ho quattro figli undici nipoti e quattro pronipoti ... il due ottobre compier� ottantotto anni ed entrer� negli ottantanove ..cosa posso volere di pi� ?...solo mia moglie manca � mi ha lasciato dopo cinquantasei anni di matrimonio�.
Si � fatta ora di pranzo e cos� ci salutiamo e mentre ritorno a casa mi sento arricchito di questi racconti � schegge di storia�frammenti delle nostre radici.
Nelle sue ultime parole colgo che sente ormai compiuto il mandato che madre natura gli ha affidato, ma per noi molto altro potr� dare.
Spero che prima o poi qualche amministrazione si accorga dell�importanza delle nostre radici e magari si adoperi per allestire un museo etno-antropologico dove il nostro Zi Petruccio, e tanti come lui, potr� sicuramente essere da guida per allestire l�angolo del �mannese� e magari far� da cicerone per le nuove generazioni.
10.09.08
Pietro Granatello
Zi Petruccio da sempre ha passato il suo tempo libero dilettandosi in perfette miniature di carri, carrozzelle, vomeri, aratri, �macennule�, mangani, �bisselli�, �sciaraballi� che sono sparse nelle case dei casapullesi.
L�anno scorso fu premiato con medaglia d�oro alla prima festa dei nonni organizzata dall�amministrazione comunale proprio per il suo mestiere di �Mannese� e per esserne l�ultimo a conoscerne ancora i mille segreti.
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