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II parte Dagherr�tipi - Il carrettino del gelatiere
Ronzii di calabrone nelle tempie.
Sfarfallii frenetici all'orizzonte.
E il pioppo non agita foglia.
Cieca si dondola e mugola nel nero cipresso la strige.
Sghignazza oltre gli spazi e irride alla gente che impazza sul suolo di bragia Iperione.
Cos� la lirica d'un sosgnatore.
Altra cosa il luglio a Sill�poli.
'O Chigno si levava anche le mutande per stare pi� fresco.
Nei campi l'alito di Belzeb�.
La canapa matura chiedeva vittime umane: donne d'acciaio, spalla a spalla con gli uomini in lunghe teorie, scavavano spandevano scere�vano attaccavano; uomini a torso nudo tagliavano con possente scure.
Le m�ttule.
Cinquante settenta fili legati a mazzo.
Snelle fascine lunghe tre metri cui la scure pareggiava punte e fittoni.
Disposte a capannine, restavano al sole ad essiccare: tende indiane per ragazzi senza giocattoli.
Fagioli con le cotiche, prosciutto e pane, vino invece di acqua: due volte in una giornata di lavoro.
E il sudore s'ascugava al sole.
"Me so' ssussuto priest' stammatina pe' vved�re lu sol'add� reposa"
Mani piagate, mani come pietre.
Vampata di fuoco.
Essi cantavano.
"Lu sole ripos'abbasci'alla marina dint'a nu ciardini�ll' cuglienn''e rrose"
Una squadra intonava, l'altra rispondeva.
Giornate che non finivano mai.
Per le vie deserte il carrettino del gelatiere: montava da occidente, come le nuvole.
"Rinfrescatev' 'o rinfresch!"
I figli della terra sbucavano nudi dalle topaie.
-Vici�!
"Gelatti, crema e ccioccolatti!"
-Cioccolato Vici�: crema e cioccolato.
-A bbui pure ve piace 'a pezzecata, � ve'?
Divisa bianca, pennacchio bottoniera e spalline a cascata, pareva un Ussaro di Ceccopeppe.
Nei gesti e nella voce, gli echi del mestiere che si tramandava da suo nonno.
"Ve rongh' chill' 'e mezalira pe' ddui sord'!"
-Vici�, nu ggilat' 'e rui sord'.
-A me un' 'e quatt'.
-I' sto pprimm' 'e te ricchi�.
-Nun v'appiccecate: un'a' vot'e ssord'annant!
Uno due dieci bambini porgevano il doppiosoldo.
-Bravi, primm''o vittoriemanuele!
Ma lo mollavano solo alla consegna.
E partivano cauti verso casa, attenti che neppure una goccia andasse perduta.
Con gesti da bertuccia leccavano da sotto in su lungo l'avambraccio i rivoletti di cioccolato: biondi come Sassoni quei falsi Luciani.
"'A limunat'a llimone!"
-Vici�!
-Arrivo.
Presso la fotanella s'arrestava, all'ombra dell'albero di Giuda (cercis siliquastrum).
Ebbene si: a Sill�poli c'era anche questo.
'O Fraul�ll' smaltiva l'eterna sbornia: con 35 all'ombra la sua cantina era deserta; ma lui ugualmente mesceva.
E beveva.
-Vici� tien' 'e ccorn!
-E tu si mbriach!
-Si, ma tu qua' rice ch'e mmeglio?
Pichinack dormiva su una sedia semiriversa, reggendosi contro ogni legge fisica.
Di tanto in tanto 'o rungech�ll'.
E 'o peret�ll'.
Meriggiava da maggio a sattembre.
Poi cambiava, ch� l� c'era corrente.
-Pichin�, ched'� 'a vita?
-'A vita mena l'uva, e cull'uva se fa 'o vino.
-Brav'a Pichinack ... e noi ce lo beviamo.
Invece Chiuock spieg� che la pianta d'uva si chiama vite, non vita; vita � quella che serve ad avvitare.
-Ma quanto siete bestie tutt'e due: vite � tanto la pianta d'uva che quella che si avvita; vita invece, con l'A, � quella che le donne si stringono per fare il culo a mandolino.
Vita come l'esistere o il divenire, come forza attiva, come capacit� di operare, era un'accezione che mancava nel loro frasario.
-Ma si ... famm'na subrett'invec' 'e fa' 'o saprassap�.
Le coppe eran di grosso vetro limato: davano a intendere ci� che non era: bastava niente a riempirle.
-Mettici la scorza di limone.
Ecco la granita: bianchissima, fragrante.
-Ci hai messo la saccarina, � ve'?
-'A saccarina stu cazzo! Io consumo tre sacchi di zucchero al mese, e ci sono testimoni. Vicienz' 'o ggilatiere tiene un nome da difendere e non � disponibile a compromessi, di nessun genere. Informatevi.
-Vici�, agge pazzi�to!
-E ppazz�a cu ss�reta!
Ripartiva verso altri approdi.
Sotto l'androne di mastro Stefano, ancora intontiti la controra, Tore il bombardiere, don Cicciafforza, Martulella e il figlio fesso di mastro Stefano.
Altri clienti s'andavano svegliando nelle venelle, nei cortili, nelle botteghe.
Vincenzo li rinfrescava con le sue miscele ghiacciate, ricevendone soldi e sorrisi.
Il sole lentamente calava.
Anche le giornate pi� lunghe finiscono prima o poi.
Agitando la tasca con le monetine, Vincenzo valutava l'incasso della giornata.
E vi uniformava l'arietta da fishiettare: il "brindisi" da La Traviata, o il "miserere" da il Trovatore.
E sua moglie capiva.
Prof. Marmo
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